“Un pezzo di pane, un mondo di gioia”

“Un pezzo di pane, un mondo di gioia”

Il Congo mi ha stregato fin dalla prima volta 19 anni fa oramai. La sua gente, la sua cultura, la sua energia mi hanno conquistato. Per questo, anno dopo anno, decido di tornare, di immergermi nuovamente in questa realtà così ricca e complessa.

Ogni missione è un’opportunità per stringere nuovi legami, imparare e crescere insieme a questa comunità. Il richiamo del Congo è sempre più forte. La gioia di ritrovare amici e collaboratori, la soddisfazione di vedere i risultati dei progetti passati e la voglia di contribuire a un futuro migliore per questa comunità mi spingono a tornare ogni anno. Quest’anno un gesto mi ha particolarmente colpito: in uno dei primi giorni che ero a Kavimvira, ho offerto una caramella a un bambino congolese. I suoi occhi, grandi e luminosi, si sono illuminati di gioia. E poi, in un gesto che mi ha commosso profondamente, lui mi ha offerto in cambio l’unico pezzo di pane che aveva tra le mani. In quel momento, ho compreso la vera ricchezza di questo popolo, martoriato dalla fame e dalla guerra, ma capace di donare con un sorriso. Sono passati diciannove anni dalla mia prima volta in Congo e il Congo è diventato la mia seconda casa. In tutti questi anni, ho avuto la fortuna di condividere la vita di questa gente straordinaria, di assistere alla loro resilienza e alla loro capacità di trovare la felicità anche nelle situazioni più difficili. Negli anni passati con amici e volontari ho contribuito alla costruzione di una casa per bambini di strada, ho ristrutturato una casa di accoglienza per donne abbandonate, ho seguito la progettazione e la costruzione della casa di accoglienza delle suore a Bukavu, ho realizzato, ed era la prima volta in quella zona… sì, una fossa biologica! Ma è proprio in quei piccoli gesti quotidiani, come offrire una caramella a un bambino, che ho trovato la vera essenza del volontariato.

Quest’anno, con alcuni amici, abbiamo dato avvio alla ristrutturazione del reparto maternità presso il centro sanitario di Kavimvira. Al momento, il reparto maternità è ancora un cantiere, ma presto si trasformerà in un luogo accogliente e sicuro per le future mamme. Il contrasto tra la situazione attuale e quella che sarà è evidente, ma proprio questa trasformazione rappresenta la speranza per un futuro migliore. Un altro progetto che mi ha particolarmente toccato è stata la costruzione del nuovo altare per la cappella delle suore di Kavimvira. Questo intervento non ha rappresentato semplicemente la costruzione di un altare, di un tabernacolo, di un ambone, di una cattedra, ma ha voluto rappresentare il cuore pulsante della comunità religiosa. Ogni listello di legno che abbiamo utilizzato, così come ogni scultura, ha voluto e vuole raccontare una storia, un mito, una tradizione. Ho avuto l’onore di collaborare con degli artisti locali, imparando da loro tecniche antiche e scoprendo la profonda connessione che li lega alla loro terra. L’inaugurazione dell’altare è stata un momento indimenticabile. La comunità si è riunita per celebrare questo nuovo inizio, e nei loro occhi ho visto una luce di speranza e di rinnovamento. L’altare di Kavimvira è stato per me un simbolo di speranza e di rinascita. Ho visto in questo progetto la possibilità di lasciare un segno duraturo e di contribuire alla crescita di una comunità che mi ha sempre accolto a braccia aperte. Un altro intervento quest’anno non previsto, ma capitato, e forse non casualmente, è stato quello di progettare e costruire una “portantina” per il trasporto delle reliquie in occasione della beatificazione, avvenuta proprio nei giorni della nostra presenza in Congo, di 4 martiri africani, 3 Saveriani di origine italiana e un prete diocesano afro-francese. Le mani esperte del cognato Davide tracciavano linee precise sul legno non pregiato, dando forma a un’opera che sarebbe diventata ben più di un semplice oggetto: la portantina per la beatificazione dei nostri martiri. Ogni colpo di martello, ogni pennellata di colore, era un atto di devozione, un omaggio a uomini che hanno sacrificato la vita per il Vangelo. Mentre osservavo il lavoro procedere, sentivo crescere dentro di me un profondo senso di gratitudine e di unione con quei santi martiri. La portantina sarebbe stata molto più di un semplice veicolo: sarebbe stata la loro corona, il loro trono, il mezzo attraverso il quale avrebbero fatto il loro trionfale ingresso in Cielo. Le immagini, i rumori, gli odori che anche quest’anno mi porto nel cuore sono molteplici: gli occhi degli adulti, che nonostante le rughe segnate dal tempo e dalle fatiche, brillano di una luce intensa, come se avessero un segreto da custodire; la capacità di trovare la gioia anche nelle situazioni più difficili; il suono delle risate dei bambini che giocavano nell’area del dispensario e della strada sterrata e che si mescolavano al rumore della auto e dei clacson che imperversano nelle strade di Kavimvira creando una sinfonia di vita che sembrava inebriare l’aria. Nonostante le case/capanne modeste e i pochi beni materiali, i visi dei bimbi sono sempre adornati da sorrisi smaglianti, un segno tangibile della loro voglia di bellezza e di speranza. “La vita è come un fiume”, mi ha detto un anziano saggio. “A volte è calmo, altre volte turbolento, ma scorre sempre. E noi, come le foglie, dobbiamo imparare a galleggiare e a goderci il viaggio”. Grazie Congo Giovanni Colombo